DIOCESI DI CALTANISSETTA

Salmo 144 (143) – Inno per la vittoria e la pace

 

Benedetto il Signore, mia roccia,

che addestra le mie mani alla guerra,

le mie dita alla battaglia,

mio alleato e mia fortezza,

mio rifugio e mio liberatore,

mio scudo in cui confido,

colui che sottomette i popoli al mio giogo.

Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore?

Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero?

L’uomo è come un soffio,

i suoi giorni come ombra che passa.

Signore, abbassa il tuo cielo e discendi,

tocca i monti ed essi fumeranno.

Lancia folgori e disperdili,

scaglia le tue saette e sconfiggili.

Stendi dall’alto la tua mano,

scampami e liberami dalle grandi acque,

dalla mano degli stranieri.

La loro bocca dice cose false

e la loro è una destra di menzogna.

O Dio, ti canterò un canto nuovo,

inneggerò a te con l’arpa a dieci corde,

a te, che dai vittoria ai re,

che scampi Davide, tuo servo, dalla spada iniqua.

Scampami e liberami dalla mano degli stranieri:

la loro bocca dice cose false

e la loro è una destra di menzogna.

I nostri figli siano come piante,

cresciute bene fin dalla loro giovinezza;

le nostre figlie come colonne d’angolo,

scolpite per adornare un palazzo.

I nostri granai siano pieni,

traboccanti di frutti d’ogni specie.

Siano a migliaia le nostre greggi,

a miriadi nelle nostre campagne;

siano carichi i nostri buoi.

Nessuna breccia, nessuna fuga,

nessun gemito nelle nostre piazze.

Beato il popolo che possiede questi beni:

beato il popolo che ha il Signore come Dio.

Commento

Il salmista è un re pronto alla battaglia contro nemici numerosi che lo assalgono come una fiumana: “Scampami e liberami dalle grandi acque”. Nemici stranieri pronti ad ogni menzogna: “La loro bocca dice cose false…”; e quindi con tutte le caratteristiche dei nemici di Dio. Un re che ha davanti un’impresa di liberazione del tutto sproporzionata alle sue possibilità e che invoca l’intervento di Dio.

Egli invoca che il suo popolo sia forte e bello: “I nostri figli siano come piante, cresciute bene fin dalla loro giovinezza”; ” le nostre figlie come colonne d’angolo”.

Il salmista professa la sua fiducia in Dio “mia roccia”, cioè altura scoscesa, imprendibile. Dio lo prepara anche alla battaglia: “Addestra le mie mani alla guerra, le mie dita alla battaglia”, pensando ad un processo di vittoria contro i popoli che hanno occupato gran parte dei territori di Israele.

In Dio riconosce il suo sostegno: “Mio alleato e mia fortezza…”; e pensa ad una riconquista dei territori d’Israele: “Colui che sottomette i popoli al mio giogo”.

Di fronte a tanta sollecitudine il salmista dice: “Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore?…” (Cf. Ps 8,5).

Egli invoca l’entrata in battaglia di Dio: “Signore, abbassa il tuo cielo e discendi, tocca i monti ed essi fumeranno”. Le immagini sono potentissime. Il Signore che piega il cielo facendone strada per scendere in battaglia sulle nubi e i monti che fumano, perché colpiti dalle folgori, che come frecce sbaragliano i nemici; è l’azione di Dio vista come una una tempesta sui nemici (Ps 17,10,15,17).

Il re salmista ha davanti l’immane esercito Assiro schierato in modo da non dargli scampo, ma non si sgomenta e invoca: “Stendi dall’alto la tua mano, scampami e liberami dalle grandi acque, dalla mano degli stranieri”. Egli è speranza certa e già si figura il momento in cui innalzerà a Dio un “canto nuovo”: “O Dio, ti canterò un canto nuovo, inneggerò a te con l’arpa a dieci corde…”.

La vittoria darà un tempo di pace, di prosperità. Questo tempo il salmista lo invoca: “I nostri figli siano come piante, cresciute bene fin dalla loro giovinezza”, cioè piene di vigore, senza stenti; “Le nostre figlie come colonne d’angolo, scolpite per adornare un palazzo”, cioè belle, snelle e robuste.

L’orante si augura un futuro senza guerra e le città forzate dagli Assiri, siano solo un ricordo lontano: “Nessuna breccia, nessuna fuga, nessun gemito nelle nostre piazze”. Purtroppo Ezechia cedette poi alla tentazione di farsi amici gli ambasciatori Babilonesi, in una trama contro gli Assiri, e cessando di sperare nel Signore. (2Re 20,12s).

Il salmo conclude affermando la beatitudine di Israele nell’essere di Dio: “Beato il popolo che ha il Signore come Dio”.

La recitazione cristiana coglie le espressioni belliche nel quadro della lotta spirituale contro il mondo e il Demonio.

L’azione di Dio sui nemici è vista come azione di sconvolgimento, nei modi che lui sa. L’invocazione del travolgente intervento di Dio è solo indirizzata all’umiltà delle genti e non ha note vendicative, di astio, di soppressione. La Chiesa non odia mai, e mai chiede un fuoco sui nemici (Cf. Lc 9,54).

Magnificat

L’anima mia magnifica il Signore *

e il mio spirito esulta in Dio,

mio salvatore,

perché ha guardato l’umiltà

della sua serva. *

D’ora in poi tutte le generazioni

mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente *

e santo é il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia *

si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza

del suo braccio, *

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni, *

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati, *

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo, *

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri,*

ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

Gloria al Padre e al Figlio *

e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre *

nei secoli dei secoli. Amen