DIOCESI DI CALTANISSETTA

Salmo 137 (136) – La ferma speranza nell’oppressione

 

Lungo i fiumi di Babilonia,

là sedevamo e piangevamo

ricordandoci di Sion.

Ai salici di quella terra

appendemmo le nostre cetre,

perché là ci chiedevano parole di canto

coloro che ci avevano deportato,

allegre canzoni, i nostri oppressori:

Cantateci canti di Sion!”.

Come cantare i canti del Signore

in terra straniera?

Se mi dimentico di te, Gerusalemme,

si dimentichi di me la mia destra;

mi si attacchi la lingua al palato

se lascio cadere il tuo ricordo,

se non innalzo Gerusalemme

al di sopra di ogni mia gioia.

Ricordati, Signore, dei figli di Edom,

che, nel giorno di Gerusalemme,

dicevano: “Spogliatela, spogliatela

fino alle sue fondamenta!”.

Figlia di Babilonia devastatrice,

beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.

Beato chi afferrerà i tuoi piccoli

e li sfracellerà contro la pietra.

Commento

Questo salmo presenta un Giudeo, che, subito dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia, ricorda le sofferenze subite in schiavitù, e si vincola ad una fermissima speranza nella ricostruzione di Gerusalemme, pur in mezzo alle ostilità dei popoli vicini, tra i quali gli Edomiti: (L’elenco dei popoli forniti dal libro di Esdra (9,1) non è quello preciso del tempo, ma è un’inserzione postuma che si rifà a Dt 7,1).

L’orante presenta il pianto degli esiliati, le umiliazioni, la determinazione con la quale appesero le cetre ai salici, vincolandosi di non cantare mai davanti agli oppressori i Canti di Sion. Lo scherno, l’insulto, l’attentato alla fede, sono espressi in maniera estremamente efficace: “Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato…”.

Poi, di fronte alla tentazione di tanti di imparentarsi con popoli stranieri per via di matrimoni (Esd 9,1.12; Nm 9,2), l’orante afferma che, dopo aver provato tanto dolore in terra straniera, non potrebbe pensare di cantare i Canti di Sion fuori della Palestina, e dimenticando Gerusalemme: “Mi si attacchi la lingua al palato (…) se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia”.

L’orante ricorda quanto con vile crudeltà fece Edom, già conquistato da Nabucodonosor, nel pieno della distruzione di Gerusalemme:”<Spogliatela, spogliatela fino alle sue fondamenta>”, e invoca su di lui la giustizia divina. La “Figlia di Babilonia” è Bozra, la città principale di Edom (Cf. Is 34,6; 63,1; Ger 48,24; 49,13s; Am 1,12). Su questa città il salmista invoca una distruzione vendicativa: “Beato chi ti renderà quanto ci hai fatto…”.

Magnificat

L’anima mia magnifica il Signore *

e il mio spirito esulta in Dio,

mio salvatore,

perché ha guardato l’umiltà

della sua serva. *

D’ora in poi tutte le generazioni

mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente *

e santo é il suo nome:

di generazione in generazione la sua misericordia *

si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza

del suo braccio, *

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni, *

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati, *

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo, *

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva promesso ai nostri padri,*

ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.

Gloria al Padre e al Figlio *

e allo Spirito Santo.

Come era nel principio, e ora e sempre *

nei secoli dei secoli. Amen.