DIOCESI DI CALTANISSETTA

Dal Vangelo Lc 4,16-30

Lunedì della XXII settimana del tempo ordinario

Gesù proclama nella sinagoga un passo meraviglioso del profeta Isaia, l’annuncio più bello di Dio alle sue creature. Per tutti coloro che soffrono è finalmente giunto il momento della gioia, per chi è prigioniero è arrivata la liberazione,
i polmoni dell’oppresso possono respirare aria fresca.
Tuttavia è necessario avere un cuore aperto alla salvezza,
che opera all’interno di noi stessi per mostrarne,
poi, i frutti all’esterno. Questo forse è proprio il limite dei nazareni:
si aspettavano che il “loro” profeta risolvesse tutto con una grande giocata: se tanti miracoli aveva compiuto a Cafarnao, a maggior ragione anche i suoi concittadini si meritavano di assistere a questo spettacolo.
Tutti in questo mondo sperimentiamo la sofferenza, ma i modi di reagire sono principalmente due: c’è chi si ingegna per trovare a tutti i costi una soluzione rapida e immediata al problema e chi abbraccia quel dolore non avendo altre armi che la speranza in Dio.
Gesù avrà sicuramente sofferto di fronte alla durezza del cuore dei suoi concittadini: non c’è esperienza peggiore di sentirsi rifiutati proprio da chi ci conosce meglio, da coloro che dovrebbero accoglierci con gioia. Attingendo dal Tanakh propone loro tuttavia una preziosa chiave di lettura per interpretare l’accaduto.
La vedova di Sarèpta e Naamàn il Siro sono infatti figure di tutti coloro che accettano con coraggio la propria condizione di sofferenza senza rinunciare alla speranza.
Pur essendo giunti al limite della disperazione,
hanno compreso che pretendere non è il verbo giusto per accogliere la salvezza.
Per evitare la follia dell’ego che, messa a tacere ogni occasione di salvezza ed eliminata ogni possibile cura,
rimane schiavo di se stesso, occorre fidarsi dei gesti semplici, di quello che accade secondo i tempi di Dio e non secondo i nostri.

Dal Vangelo secondo Luca Lc 4,16-30

In quel tempo, Gesù venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.